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Una camminata tra i vini affinati ad alta quota

Le grandi nevicate scese in questi giorni hanno ricoperto quasi tutte le cime italiane, da Nord a Sud, dando vita a paesaggi mozzafiato in tutta la penisola. Paesaggi al cui interno si possono trovare anche diverse realtà vitivinicole che fanno dell’affinamento ad alta quota un marchio di fabbrica.

Caratteristiche e vantaggi dell’affinamento ad alta quota

Innanzitutto è bene precisare cosa si intende per affinamento;  l’affinamento in bottiglia è il processo che conclude la maturazione del vino, con un lento lavoro di sedimentazione. Quindi l’affinamento non è la stessa cosa dell’invecchiamento/maturazione, bensì ne è un procedimento successivo.

In fase di affinamento, l’ambiente ha un ruolo fondamentale, come spiegatoci anche da due nostri amici produttori nell’articolo “Come conservare il vino a casa” ; infatti, le bottiglie vengono poste in un luogo tendenzialmente buio, a temperatura costante e in posizione orizzontale/obliqua. Questo per far sì che il vino resti a contatto con il tappo, che altrimenti seccandosi perderebbe la sua elasticità e di conseguenza potrebbe comportare scambi gassosi con l’esterno, creando difetti al vino. 

E se questo ambiente di conservazione si trovasse a oltre 2000 metri di altitudine cosa succederebbe? Quali sarebbero le conseguenza di conservazione?

A tal proposito, come dicevamo, sono diverse la cantine che hanno sperimentato o stanno sperimentando questo processo in diverse zone d’Italia, raggiungendo interessanti risultati.

Secondo gli esperti, i vini aperti, dopo un periodo di affinamento ad alta quota, rilevano un maggiore senso di freschezza,  note minerali più marcate e, soprattutto, un ottimo equilibrio, sia a livello  olfattivo che gustativo. Insomma, vini molto fini e piacevoli. 

Ma cos’è che li rende così eleganti? Molto probabilmente il perfetto scambio d’ossigeno tra tappo e vino (OTR), presente in ogni affinamento, migliorato  sia dalle basse temperature che dal tipologia d’aria, in montagna più rarefatta.

 

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Da Nord a Sud si tocca la vetta 

Le sperimentazioni d’alta quota sono avvenute e avvengono a diverse latitudini del nostro Paese.

Nel 2005, ad esempio,  il Consorzio Tutela Vini di Valtellina, promosse un progetto basato sugli effetti dell’alta quota nel vino, al quale aderirono una ventina di cantine valtellinesi. Lo stesso numero di bottiglie identiche venne stoccato in due diversi centri di affinamento: uno a fondovalle, a Sondrio, e uno al passo dello Stelvio, presso il Pirovano, a quota 2.758 metri.

Scendendo per lo stivale si può trovare l’azienda “Vini d’Altura“,  la quale non produce vino, ma si occupa solo  di affinamento scegliendo e  portando vini ogni inverno a 2mila metri, nel Parco Nazionale del Gran Sasso, poco prima che inizi a nevicare. Un progetto molto particolare che pian piano sta prendendo sempre più piede con sperimentazioni di diverse tipologie di vino: dal Cerasuolo al Pecorino, passando anche per Nebbiolo, Morellino e Negramaro.

“Vini d’alta quota” è anche il progetto allestito qualche anno fa presso l’Osservatorio Etneo a quota 2813, nato dalla collaborazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), con l’azienda vinicola Calcagno che per 12 mesi ha affinato un lotto di bottiglie posizionate in casse di legno. 

Un progetto basato sulle teorie di Pasteur (chimico, biologo e microbiologo francese), il quale sosteneva che l’aria in alta quota, priva di germi,  fosse migliore per la conservazione di un prodotto fermentato come il vino. Secondo lo studioso l’aria più rarefatta, con meno ossigeno, poteva mantenere i vini più giovani.

Personalmente non ci è mai capitato di bere un vino affinato a queste altitudini, ma gli esperimenti fatti e le relative valutazioni degli esperti dopo la degustazione di questi vini ci hanno incuriosito parecchio e invogliato a provarne l’assaggio appena possibile.

Tu hai mai assaggiato un vino affinato ad alta quota?

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