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Nesos, il vino che cresce in mare!

In occasione dell’apertura dell’Anteprima di Toscana, tenutasi sabato scorso a Firenze, è stato presentato (ed eccezionalmente degustato!) “Nesos”, il vino marino nato da un esperimento scientifico ‘archeoenologico’ condotto dall’azienda elbana Arrighi, in collaborazione con il professor Attilio Scienza, e le docenti Angela Zinnai e Francesca Venturi.

2500 anni dopo il vino di Chio

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L’idea di un vino “marino” poggia le proprie basi su radici molto lontane. In particolare bisogna tornare indietro di circa 2500 anni quando nell’isola di Chio, situata nel mar Egeo orientale, gli antichi greci producevano il famoso vino di Chio.

La particolarità del vino di Chio risiedeva nell’inconsueta pratica enologica con cui si otteneva: prima dell’appassimento infatti le uve, chiuse in ceste, venivano immerse in mare per alcuni giorni al fine di eliminare la pruina dalla buccia in modo da accelerare l’appassimento delle stesse una volta esposte al sole, mantenendo inalterate gli aromi tipici del vitigno.

Questo metodo caratterizzava il vino per una spiccata presenza di sale nel vino la quale, oltre ad accentuarne il gusto aromatico,  permetteva anche una maggiore conservazione, necessaria per sopportare i trasporti via mare.

Il prestigioso e prelibato prodotto, infatti, veniva commercializzato e venduto nei principali mercati tra cui Marsiglia e Roma.  Ma non solo, numerosi ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate, nelle tombe o nella costruzione di drenaggi, testimoniano che molte città costiere della Toscana etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione dei commercianti di Chio, i quali spesso facevano approdo a Piombino e sull’Isola d’Elba.

L’isola d’Elba oltre ad a rappresentare un importante sbocco commerciale, ha da sempre avuto una spiccata vocazione enologica come testimoniano le diverse aziende presenti sul territorio. Tra queste quella di Antonio Arrighi, piccolo produttore dell’isola, che dopo una conferenza tenuta dal Professor Scienza sul vino dell’isola di Chio ha deciso di lanciarsi (con la collaborazione del professore) in questa nuova affascinante sfida: (ri)produrre il vino marino.

Il metodo

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Immagine: Corrierealbano.it

L’uva utilizzata per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è l’Ansonica, uva bianca tipica dell’Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, varietà caratterizzate da una buccia molto resistente ed una polpa croccante.

Le uve sono immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini. Questo processo consente di eliminare parte della pruina superficiale, accelerando così il successivo appassimento al sole, senza arrivare alla produzione di un vino dolce. Il sale marino durante i giorni di immersione, per “osmosi” penetra anche all’interno, senza danneggiare l’acino.

Il successivo passaggio delle uve avviene in anfore di terracotta con tutte le bucce, dopo la separazione dei raspi. La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, permette di provare a non utilizzare i solfiti, arrivando a produrre, dopo un anno di affinamento in bottiglia, un vino quasi naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa. 

Nella vendemmia 2018 sono state prodotte solo 40 bottiglie; quella 2019 è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce.

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